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Convegno 2004 - Rassegna stampa

DA MARZIALE IN POI, IL GOSSIP LOGORA CHI NON LO FA

Massimo Di Forti
"Il Messaggero", 6 gennaio 2004

Si mimetizzano. Da sempre. Come i camaleonti, di cui in genere non posseggono il dono di esibire apparenze multicolori ma ai quali li accomunano l'andatura strisciante e, soprattutto, la lingua. Lunga, lunghissima, pressoché infinita.

I maldicenti indossano abiti grigi, per non uscire mai allo scoperto e, invisibili, poter sferrare i loro affondi senza doverne temere le conseguenze. "La lingua maldicente è indizio di mente malvagia", scrisse Dante, che non tollerava ambiguità e mezze misure. E monsignor Della Casa nel Galateo ammoniva che "d'altrui né delle altrui cose non si dee dir male" aggiungendo ancor più severo che "le persone schifano l'amicizia dei maldicenti".
Eppure... Non è difficile trovare menti elette che abbiano preso a cuore le difese dei maldicenti. Con buone ragioni. "E' davvero mostruoso che la gente vada in giro dicendo alle nostre spalle cose che sono assolutamente vere", osservava, con corrosiva e inappuntabile lucidità, Oscar Wilde nel suo capolavoro Il ritratto di Dorian Gray. Wilde - che, certo, praticò con arte la maldicenza ma impietosamente ne fu vittima illustre - apparteneva a quella schiera di spiriti caustici poco propensi ad accettare la soporifera banalità del quieto vivere e a rinunciare ai piaceri di una, in questo caso, stimolante maldicenza.

Ne fu maestro, nell'età antica, Marziale che sbeffeggiò con i suoi epigrammi l'aristocrazia romana, l'avidità dei potenti, le onnipresenti cortigiane e inaugurò il ricorso al dileggio personale e sociale. Poteva sentenziare: "Poco tempo fa Diaulo era medico, ora becchino: e quello che fa da becchino, faceva anche da medico".

Per il malcapitato di turno, che l'accusa fosse più o meno pubblica, il destino era segnato. Ma, in tempi più recenti, quanti artisti e intellettuali ne hanno raccolto convinti l'eredità... Nei caffè letterari del Novecento si servivano veleni meno "reali" e non per questo meno letali di quello offerto a tradimento, in un noto carcere palermitano, a Gaspare Pisciotta.

Nell'arco di un ventennio, Leo Longanesi ha suscitato l'ammirazione di Montanelli per le sue battute al vetriolo. Vincenzo Cardarelli ha nutrito la fama di "più grande poeta morente" degli anni 50 con pettegolezzi e sottili perfidie indirizzate a colleghi e "amici".

E, guadagnandosi i consensi di Sant'Agnese, Roger Peyrefitte ha deliziato fino al traguardo del Terzo Millennio una platea cosmopolita, ironizzando sui ricchi & famosi o diffondendo verità "riservatissime" sui loro segreti rituali.

E' difficile, però, contestare a Elsa Maxwell il primato di pettegola n. 1 del XX Secolo. Favorita dal fertile terreno della scena hollywoodiana, che la vide impegnata in memorabili duelli con le altre due "comari" della Mecca del cinema, Louella Parson e Edda Hopper, la Maxwell fu un'autentica Terminator del gossip, ne fece un'arma implacabile che si abbatté su divi osannati e celebrities planetarie, senza alcun riguardo.

Fu lei a combinare l'incontro tra Aristotele Onassis e Maria Callas, a organizzare la mitica crociera sul "Christina" alla quale parteciparono anche Winston Churchill e Giovan Battista Meneghini, a porre fine al matrimonio tra la grande cantante e l'impresario.

E fu sempre lei a mettere a segno un diabolico bis, qualche anno dopo, propiziando l'unione-choc tra Onassis e Jacqueline Kennedy. La divina Maria non si riprese più da quella cinica liquidazione.

I grandi di Hollywood, di fronte alla Maxwell, si inchinavano riverenti. Indro Montanelli, che la conobbe negli anni 50 e le dedicò uno dei suoi "Incontri", non riuscì a trattenere il proprio sbalordimento di fronte al goffo e repellente abbigliamento ostentato dalla columnist americana nei luoghi più eleganti ed esclusivi. "Un segno evidente del suo straordinario potere", commentò il grande giornalista.

Sì, un segno evidente che, piaccia o no, il gossip è potere. E logora chi non lo fa.

Massimo Di Forti