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Convegno 2004 - Le relazioni

TRADIZIONE E MALDICENZA

di Tommaso Ceddia
Università di L'Aquila

Nei pochi minuti concessi a ciascuna relazione dalla natura di questo convegno, che vuole soltanto proporre di riconsiderare il significato e il ruolo della maldicenza come forma rilevante di discorso in società che mutano velocemente, non è possibile alcun esame approfondito. Proverò, pertanto, a segnalare alcuni spunti che stimolino una riflessione più attenta e un approfondimento futuro sulla maldicenza quale pianeta vasto, eterogeneo e misconosciuto di questa società.

L'iconografia classica della maldicenza mostra una donna vecchia, magra, d'orribile aspetto, che tenta di nascondere il corpo sotto un velo; tiene da una mano la face della discordia, e dall'altra una vipera; porta un manto fatto di pelle di riccio e guarnito di punte di ferro. E' un'immagine terribile per ripugnanza e spavento, che la nostra Associazione ha ripudiato da sempre. Il logo da noi prescelto, riportato su ogni stampato relativo al convegno, è il mascherone di un vecchio saggio che porta sulla lingua una rosa dalle molte spine, simboli del senso comune e della comunicazione gentile e franca.

Per le comunità dei Greci più antichi, fondate su naturali, armoniche e insuperabili distinzioni in classi, la maldicenza non poteva che significare ribellione, espressa con loidoria (ingiuria), cachegoria (calunnia) o blasfemia (insulto empio e irriverente verso gli dei e verso i potenti). Tale fu la prima maldicenza storica; quella del plebeo Tersite, vecchio, calvo, sciancato e panciuto soldato acheo, che osò, in generale assemblea, attribuire al supremo capo Agamennone, le colpe del troppo lungo assedio di Troia, per aver egli sottratto ad Achille la bella schiava Briseide. Tersite, unico personaggio plebeo dell'intera Iliade, si meritò, per tanto osare, una solenne bastonatura da parte di Odisseo.
Oltre che essere disposizione a parlare, a diffamare, a mettere in rilievo le colpe e i difetti altrui, a divulgare notizie vere o false con perfidia e malizia, a fare pettegolezzi, maldicenza può significare inclinazione a criticare con grande severità e acredine. Può anche indicare il carattere satirico, mordace, pungente, salace di un componimento letterario. E' forma della satira, è stato detto, il cui contenuto è il vizio satireggiato. La troviamo nella urbanitas di Seneca, nell'eleganza di Petronio, nella censura di Marziale, nell'acredine di Giovenale, nell'invettiva di Dante, nell'ira di Foscolo, nella denuncia di Zola, nella mordacità di Montanelli, nelle vignette finemente ironiche di Forattini, di Giannelli e di altri primari vignettisti. La maldicenza è un proiettile, vero o falso, vestito del carattere e delle intenzioni di chi spara. La risonanza pubblica può trasformarlo, da piccola e insignificante arma, in micidiale bomba ad alto potenziale.

La costruzione e la divulgazione di qualsiasi maldicenza necessitano di una mente ben organizzata. Il bambino non è mai maldicente. Educazione ed esperienza non hanno ancora tracciato i molti miliardi di circuiti interneuronali necessari alla maturazione del suo cervello, la più complessa delle strutture esistenti in natura. Gli animali non sono maldicenti; non perchè ignorano il linguaggio (sanno, infatti, comunicare), ma perchè non hanno cognizione del bene e del male. Non sono, in altre parole, soggetti morali. Sanno comunicare il falso, sanno ingannare ma non possono calunniare nè criticare nè essere sarcastici. La conoscenza ci dice com'è fatto il mondo, ma è l'etica a raccontarci come il mondo dovrebbe essere fatto; quali dovrebbero essere i nostri comportamenti e se le nostre azioni sono buone, giuste e ben motivate. Anche le "non-azioni" vanno considerate secondo giustizia e motivazione. Le "mal-reticenze", infatti, hanno lo stesso valore morale delle maldicenze.

Motivazione della maldicenza degli antichi e competitivi Greci, sostenuti dalle divinità olimpiche, era il risentimento (ftonos) che conduce alla ribellione. Più tardi, Aristotele notò che nelle società di liberi ed eguali il risentimento è generato dall'invidia, dall'amor di sè, dal volere per sè quel che gli altri hanno di più. Tesi che furono sostenute, dopo oltre duemila anni, da Tocqueville in politica, Schopenhauer e Nietzsche in filosofia, Le Bon e altri circa le società democratiche contemporanee. Negli ultimi anni le teorie della mente e le neuroscienze hanno confermato le motivazioni psicologiche dell'agir male, accreditandole anche con le tesi del "gene egoista" di Dawkins, il quale vede in ogni individuo il frutto che nutre e preserva il seme fino alla nascita di un nuovo individuo, in funzione soltanto del mantenimento della specie. Sopravvivenza e moltiplicazione sono, dunque, i "superqualia" di pensiero e azione secondo gli evoluzionisti.

Noi della tradizione aquilana non coltiviamo per nulla il significato malizioso o malefico di alcune maldicenze. Incoraggiamo, invece, l'aspetto critico e positivo di quelle che si rivolgono a comportamenti ed eventi d'interesse comune nel segno della libertà e della dignità di tutti gli uomini, cercando di maturare il significato di giudizio incerto del latino opinio verso l'opinione della personale coscienza di Locke, il criticismo cosmopolitico di Kant, la rousseauiana opinione generale e l'opinione critica sviluppatasi dall'incontro di borghesi intellettuali e nobili illuminati nei bar, nei bistrot e nei caffè del settecento, che sostiturono i controllati salotti della nobiltà assolutista. Restiamo però moderati e attenti nella non faticosa attività di critici e pungolatori, ben consci che i buoi che tirano l'aratro per la semina e il raccolto sono sempre pochi. Confidiamo nella solidarietà cristiana o nella solidarietà biologica (l'Homo sapiens è la sola specie capace di solidarietà) o nella laica benda di Rawls (che ci pone tutti inizialmente nelle stesse condizioni) o nella democratica etica del discorso di Habermas (che si fonda sul successo del confronto fra le idee).

Alcuni si chiedono come mai la maldicenza sia divenuta una tradizione, se per tradizione s'intende il tramandare comportamenti ed eventi positivi alle generazioni successive; e come la maldicenza può essere elemento di eredità culturale. Noi pensiamo che questa aquilana maldicenza agnesina ( che non riguarda per nulla la santa se non per coincidenza di nomi e luoghi) si riferisce al carattere libero e fiero che gli abitanti di questa città hanno sempre mostrato di avere nelle alterne vicende della loro storia. Coltivare le tradizioni è trovare rifugio nelle sicurezze di un caldo focolare, nelle certezze di un "meme" consolidato, di un gene culturale trasmesso con successo, da padre a figlio, per molte generazioni. A poco varrebbero le tradizioni, tuttavia, se non ci esortassero, nell'era della "sur-moderna" mondializzazione, a spingere la conoscenza oltre l'orizzonte. E' questa la curiositas di questo convegno.

Qualunque risultato sarà emerso, resta inteso che noi aquilani saremo fermi nel continuare il singolare gioco della tradizione agnesina, della corale celebrazione della maldicenza, il 21 Gennaio d'ogni anno, nel significato di critica franca, mordace e mai maligna.

Tommaso Ceddia